Maurizio Galimberti, classe 1956 nato a Como, si è imposto sulla scena internazionale della fotografia a partire dalla fine degli anni '90, quando è diventato il fotografo delle star grazie a un progetto in collaborazione con diverse edizioni del Festival del Cinema di Venezia, fotografando tra gli altri Johnny Deep, Benicio del Toro e Javier Bardem. Esponente della Polaroid, affiancato dalla stessa Lady Gaga per la salvaguardia di un marchio storico della fotografia internazionale, fa di un mezzo dall'allure senza tempo un vero concentrato di sperimentazione e di rilettura delle avanguardie storiche con risultati molto affascinanti. La scelta di utilizzare la Polaroid deriva dalla paura del buio provata fin da quando era un bambino, questo lo ha portato ben presto ad abbandonare la camera oscura e a scegliere un mezzo che non richiedesse grandi tempi di sviluppo e che forse ancor più della comune idea della fotografia, riuscisse a condensare la cattura dell'attimo con la possibilità di avere, qualche minuto dopo, lo scatto tra le mani.
In una chiacchierata avvenuta sabato scorso presso il Politecnico di Bari, il fotografo è tornato più volte sulla necessità della conoscenza della storia per sviluppare un proprio progetto citando tutti gli artisti che sono stati gli ispiratori della sua ricerca: affascinato dal futurismo, ha perseguito una ricerca dadaista posta a scarnificare l'arte della sua forza classica, ma, a mio avviso, è possibile ritrovare specialmente nelle sue composizioni di polaroid quelle ricerche alla base del Puntinismo praticato da Seurat, o la ricerca tridimensionale propria delle opere del filone cubista di Picasso.
I grandi mosaici infatti scompongono il soggetto del ritratto, che sia un'oggetto, una persona, un'architettura, per poi andare a ricomporla, come tanti pixel, vista da vicino l'immagine appare nel suo frammento, dove ogni polaroid possiede già una propria forza, ma è allontanandosi che l'immagine nella sua complessità acquista dinamicità deformando i visi, realizzando pattern geometrici e creando giochi illusionistici, il viso e le mani si sfaccettano secondo diverse angolazioni eppure l'immagine appare nella sua unità.
Un'altra esperienza molto affascinante è una sorta di lavoro materico che Galimberti opera sulle polaroid, ridando, specialmente dei dettagli urbani, delle visioni più che delle immagini delle città. Stesso lavoro effettuato anche nell'ambito dei ready-made, nella tradizione di Man Ray, l'artista opera su immagini di culto afferenti per lo più al mondo dell'arte e dei magazine reinterpretandole secondo un proprio punto di vista, connotandole all'interno di tempi fittizi giocando con la pop-art e riproducendo le illusioni proprie della ricerca di Duchamp. L'aspetto più interessante, oltre alla forza compositiva dell'immagine, e la vocazione immaginifica che i suoi scatti si portano dietro proseguendo per continuità rispetto al passato, piuttosto che ricercare vie credute ingenuamente del tutto nuove.
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