E' rimbalzata su tutti i siti che si occupano di moda la notizia della
rottura tra la Ppr, Balenciaga e Nicolas Ghesquière dopo una lunga relazione durata quindici anni, con un buon lavoro da parte del designer che è riuscito a rialzare le sorti del marchio francese datato 1919 .
Il lavoro di Ghesquière si è contraddistinto per invenzione, ricerca e un'aurea glam che ha contagiato gran parte delle fashion-victims e la stampa internazionale, pur restando sempre un marchio decisamente di nicchia. Durante l'annuncio, nessuna precisazione sulle motivazioni della rottura come in ogni coppia che si rispetti, in tanti parlano di un possibile nuovo incarico per il designer dal concorrente Arnault, altri del desiderio di un debutto con un proprio marchio, infine alcuni lo vedrebbero bene al fianco di Della Valle per il progetto Elsa Schiaparelli. I più cattivi sospettano che alla base della fine di un'era ci sia una certa insoddisfazione per un marchio che ormai vive solo di accessori, come in realtà molti altri, e quindi grosso modo motivazioni di carattere finanziario, tra le "cattive" c'è anche la blogger Paola Bottelli che cura su ilsole24ore.com lo spazio
Backstage.
Però più che soffermarmi sulla singola vicenda, mi ha incuriosito il quesito
"Quando un brand non decolla è più colpa dello stilista o del gruppo alle sue spalle?", un quesito interessante in un momento di frenetici balletti di poltrone tra marchi importanti. E' in dubbio che a reggere il sistema moda nazionale e d'Oltralpe siano ormai pochi marchi, poi c'è tutto un contorno di marchi rivitalizzati da maestranze giovani, che pur facendo molto bene, in realtà non riescono a staccarsi da un ruolo di nicchia, spesso sono quei marchi che posso permettersi di stupire durante le settimane della moda, come
Givenchy o
Alexander McQueen, ma dei quali poi è complicato avere sottomano gli effettivi ricavi. Per un non-economista, ovviamente, c'è da augurarsi che la moda riesca a divincolarsi per quanto le sia possibile dalle sole logiche del profitto, semplicemente perché essa rappresenta ancora oggi un'esperienza fondamentale per comprendere le evoluzioni della società contemporanea come quella del passato, ed essere un piccolo anfratto di una tradizione sartoriale, di una ricerca dei materiali, di un buon gusto per il bello nonché per forme di arte da esibire tutti i giorni.
Sembra ormai tutto decisamente viziato sotto l'aurea dei grandi gruppi, delle quotazioni in borsa e dei bilanci di fine anno, non sono più i tempi in cui una giovane Coco Chanel apriva il suo negozio al 21 di Rue Cabon oppure gli anni in cui Domenico Dolce e Stefano Gabbana avrebbero costruito la loro fortuna con un capitale modesto dopo aver abbandonato la Sicilia, un bravo giovane designer oggi forse soccomberebbe rispetto ai colossi ma c'è da augurarsi che persista ancora qualche piccola speranza.